Abbiamo chiesto a Stefano Rossi, psicopedagogista tra i più noti in Italia, di rispondere ad alcune domande per aiutare docenti e genitori ad orientarsi nel complesso mondo dei bambini e dei ragazzi di oggi.

Come sviluppare e allenare le soft skills a scuola e in famiglia? Quali azioni concrete si possono suggerire?
Per allenare le soft skills serve una cosa fondamentale che è l’esperienza, serve un’esperienza sociale. Che si tratti di empatia, di capacità di collaborare, capacità di ascoltarsi e di condividere pensieri, opinioni differenti argomentandole, il tratto comune è che servono esperienze “occhi negli occhi” in una società sempre più digitalizzata i cui i bambini e in particolare gli adolescenti stanno manifestando una preoccupante fuga dal reale. Citiamo su tutti il tema degli Hikikomori che si ritirano dal mondo, fuggono dal mondo e hanno paura del mondo. Noi dobbiamo educare i nostri bambini in classe per esempio tramite piccole ma frequenti esperienze cooperative. Dunque si pensa insieme, si crea insieme, si affrontano problemi insieme, ci si allena nel prendere piccole decisioni su come procedere, su come collaborare. Ecco, questa dimensione collaborativa della classe diventa fondamentale perché solo nell’incontro occhi negli occhi il cervello emotivo, il cervello sociale e la corteccia dei nostri bambini e dei nostri ragazzi può fiorire da questo punto di vista. A casa sicuramente vale lo stesso principio: meno virtuale, più reale.
Qual è la differenza tra life e soft skills?
Sulla differenza tra life e soft skills potremmo dire che in realtà è più una differenza terminologica ma le capacità per la vita che servono ai nostri ragazzi riguardano: il pensiero, ovvero imparare a pensare, il sentire, ovvero il cuore, imparare a riconoscere ed esprimere i propri sentimenti, la dimensione relazionale, ovvero imparare ad esprimere, a condividere e a comprendere i sentimenti, cosa c’è nel cuore dell’altro. Queste tre dimensioni pensare, sentire e agire con l’intelligenza del cuore sono le tre grandi aree che aiuteranno i nostri bambini e i nostri ragazzi a relazionarsi con saggezza e intelligenza nel mondo.
Come proporre una didattica cooperativa per creare un ponte di empatia con studenti ribelli, oppositivi e iperattivi?
L’elemento centrale da capire nella relazione con bambini e ragazzi oppositivi è che il loro urlo è un grido di aiuto. Che cosa significa? Significa che i bambini e i ragazzi oppositivi non testano, come spesso viene ripetuto, la nostra autorità ma testano la verità del nostro amore e se teniamo a loro veramente. Questi bambini e questi ragazzi per tutta una serie di ragioni familiari hanno subìto un trauma nella fiducia, non si fidano più dell’adulto e quindi sono diventati “l’adulto nella stanza”. Dato che chi doveva prendersi cura di loro a vario livello li ha feriti, traditi, dimenticati o abbandonati, questi bambini e questi ragazzi fondamentalmente diventano l’autorità che è mancata loro. Allora prima ancora di un setting cooperativo, l’aspetto fondamentale, che descrivo anche in molti miei testi, è diventare per loro un "porto sicuro", cioè comprendere che le regole sono un dono d’amore sì, ma prima ancora delle regole dobbiamo creare un legame affettivo, dobbiamo far sentire loro che teniamo loro veramente. All’interno di questa relazione "porto sicuro", poi le attività cooperative diventano preziose perché offrono a questi bambini e a questi ragazzi, che sovente faticano a concentrarsi spesso anche per ragioni emozionali, la possibilità di sperimentarsi in una modalità più attiva, più partecipativa che al contempo però migliori anche la loro autostima e faccia sentire loro che possono portare e creare qualcosa di bello e di buono nel mondo.
Come reagire di fronte ai comportamenti problematici di bambini e preadolescenti? Come diventare il loro “porto sicuro” educandoli alle emozioni?
Per diventare un “porto sicuro” di fronte ai comportamenti ribelli dobbiamo fondamentalmente essere un adulto non reattivo. Che cosa significa? Quando i bambini e i ragazzi ci provocano, ci sfidano, si attivano dentro di noi due modalità. La modalità attacco, che ci porta ad essere un insegnante esplosivo, reattivo, impulsivo, un insegnante che alza la voce, oppure in alcuni di noi si attiva una modalità di fuga, diventiamo quindi un insegnante permissivo, che concede e consente tutto. Entrambe queste due modalità sono due modalità reattive con cui il nostro cervello emotivo si difende, di fronte alla minaccia del comportamento ostile. Ecco, la modalità “porto sicuro” è una terza modalità in cui dobbiamo da un lato essere il giusto argine per i bambini e per i ragazzi, per esempio dicendo loro, quando sono arrabbiati, quando sono ostili, che hanno diritto di essere arrabbiati, ma non hanno diritto di essere violenti. Questo primo passaggio è fondamentale ma poi una strategia che spesso è sottovalutata ma è fondamentale è il tono di voce, che parla al cervello emotivo. I bambini e i ragazzi con disregolazione emotiva fanno fatica a regolare le loro emozioni, ne sono travolti, quindi avvicinarci a loro con un approccio fermo, ma affettivo diventa fondamentale per aiutarli a dare un nome a quello che provano. Ti vedo molto arrabbiato: hai diritto ad esserlo, ma non ad essere violento. Cosa c’è dentro la tua rabbia? Cosa ti ha fatto scattare? Aiutami a capire: mi interessa quello che hai nel cuore. Quando un adulto si relaziona ad un preadolescente o ad un bambino in questi termini il bambino si sente visto dal “porto sicuro” e a quel punto la sua ira può pian piano trasformarsi nella capacità di dare un nome alle proprie emozioni.
Come queste abilità possono essere utili per i ragazzi e le ragazze nella fase di orientamento post scolastico, nelle decisioni tra lavoro e indirizzo di studio universitario?
Per quanto riguarda l’orientamento, l’intelligenza emotiva è fondamentale perché di fronte ad una decisione noi possiamo affrontarla con due chiavi. La chiave razionale, quindi in questo caso possiamo dividere il foglio in “pro” e in “contro” per soppesare i vari aspetti della decisione, le varie sfumature. Però spesso quando cerchiamo di prendere una decisione solo in chiave razionale abbiamo sempre la brutta sensazione che qualcosa sfugga all’equazione e quella cosa che sfugge è proprio il cuore. Come Pascal ha stupendamente sintetizzato, il cuore a volte conosce ragioni che la ragione non conosce, cioè il cuore sente e sul tema dell’orientamento una cosa che io spesso ricordo ai ragazzi e alle ragazze che devono decidere del loro futuro, è impara a sentire il tuo sentire. James Hillman era convinto che dentro di noi c’è un daimon, un buon demone che è il custode del nostro destino, è il custode del nostro desiderio. Il nostro daimon interiore ci parla però con una lingua misteriosa, che non è una lingua razionale, ma è una lingua del sentire. Magari incrociamo una conferenza su un tema che non ci interessava, ma quando sentiamo il relatore parlare, qualcosa si accende dentro di noi, sentiamo una bellezza, sentiamo una verità, sentiamo un desiderio. E allora ecco, l’invito che io faccio sempre ai ragazzi è imparare piano piano a sentire e a riconoscere la voce del loro daimon in modo tale che possano trovare il loro sogno e non il sogno che altri hanno pensato per loro.
Stefano Rossi
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Dott. Stefano Rossi: Psicopedagogista, scrittore e divulgatore. É una delle voci più autorevoli della pedagogia del nostro Paese. Porta le sue conferenze in teatri e piazze di tutto il Paese ed è autore di numerosi bestseller sull’educazione emotiva. Collabora con Sky Tg24 e Radio 24. Scrive per “Donna Moderna" e "Focus Junior”. Interviene spesso in Parlamento come esperto per parlare di adolescenti, digitale e disagio giovanile. Sugli strumenti del Metodo Rossi ha formato 800 scuole. Sui social è seguito da quasi 300 mila genitori e insegnanti. Formatore e autore di manuali didattici per docenti per il Gruppo Editoriale Eli.
Per approfondire suggeriamo dell’autore Stefano Rossi:
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Genitori in ansia. Trasforma le tue paure nelle ali di tuo figlio, Feltrinelli, 2025






